Quando abbiamo posato Akù sulla soglia di casa per la prima volta, oltre la quale c’era un bambino in attesa di una grande sorpresa, e abbiamo aperto la porta… la scena non è stata simile a quello che avevamo immaginato, cioè un cagnolino scodinzolante che correva ad esplorare e leccare quel bambino e tutta la casa.
Non è andata così.

Il cagnolino è rimasto immobile sulla soglia, pietrificato.
Questa immagine mi ha fatto pensare a tanti bambini, al primo incontro di un percorso neuropsicomotorio. Non tutti reagiscono così, ma tanti sì, soprattutto i più piccoli. I più “cuccioli”.
Sapevo cosa stava accadendo.
Quel cagnolino era in uno stato di massima allerta, e di massima angoscia.
Si trovava per la prima volta in una situazione completamente nuova.
I bambini, cosa fanno di solito? Si rintanano tra le gambe della mamma, o meglio ancora, le saltano in braccio.
Il mio cagnolino però, non poteva rinfrancarsi della presenza di sua mamma, perché da lei era appena stato allontanato. Che Akù mi perdoni per questo faticoso passaggio.
Sapevo che dovevo aiutarlo ad entrare.
Con estrema calma, delicatezza, l’ho preso in braccio cercando di dargli conforto. E poi l’ho posato mantenendo una mano sulla sua schiena e le mie gambe vicine a lui, perché sentisse calore.
In stanza di terapia invece, per fortuna, posso garantire quel minimo di senso di sicurezza, lasciando che il bambino resti con la sua mamma nel nuovo spazio, finché sente di potermi dare fiducia.
Di solito non ci vuole tanto, ma poco o tanto che sia, il punto è questo: in presenza di uno stato di allerta, è fondamentale creare un contesto in cui il cucciolo trovi, con i suoi tempi, un senso di sicurezza.
Di fatti, il senso di sicurezza è un bisogno primario, ancestrale. Finché quello non è garantito, non ci può essere un’apertura, uno scambio di fiducia, un’evoluzione né tantomeno apprendimento.
Una volta che la creaturina è stata portata dentro il contesto, come capisco quando il bisogno di sicurezza viene appagato e lo stato di allerta diminuisce?
La mia professione mi ha insegnato l’ OSSERVAZIONE DEI COMPORTAMENTI SPONTANEI.
Osservo per esempio dove si pone, in quale parte della stanza: rimane vicino alla porta o azzarda a spingersi oltre? Oppure la sua posizione è strettamente dipendente da quella della sua mamma?
Akù per esempio, per la prima mezz’ora non è rimasto più lontano di un metro dalla porta.
Un’altra cosa che osservo è cosa fa. Si guarda in giro? Esplora la stanza? Esplora solo con lo sguardo o anche con il corpo, andando a rovistare? Oppure, rimane semplicemente attaccato alla mamma, senza volersi togliere le scarpe o la giacca?
Già queste informazioni fanno la differenza, e mi guidano nel mio comportamento.
Più il bambino sembra dipendere dalla mamma, mostrando uno scarso interesse verso la stanza e verso i giochi, o mostrando una forte chiusura quindi mostrando la ferma volontà di non spogliarsi neanche di scarpe e giacca, più comprendo che l’allerta è molto elevata, allora la mia presenza e interazione sarà molto discreta. La mia distanza fisica dal bambino sarà maggiore.
Viceversa, con un bambino curioso ed esploratore, mi permetto di avvicinarmi leggermente di più e cerco una giusta misura di interazione.
Ho applicato lo stesso concetto col mio nuovo cagnolino: osservandolo, balzava agli occhi quanto fosse inibito. Annusava timidamente i nuovi personaggi della nuova casa. Inizialmente aveva un atteggiamento passivo, statico: non esplorava. Non considerava minimamente i giochini che avevamo preso per lui.
La prova del 9, è stata la prova del cibo. Ha bevuto un po’, ma non ha toccato cibo.
“Diamogli tempo. Muoviamoci con discrezione.”, ho condiviso questo pensiero con la mia famiglia.
Quel primo giorno, siamo stati attenti a tenere un livello di energia abbastanza basso, senza parlare forte, senza muoverci troppo rapidamente, senza fargli subire troppo contatto fisico magari indesiderato. E soprattutto, senza forzare i suoi comportamenti.
Questo è un nodo fondamentale, perché quando le aspettative si scontrano a muso duro con la realtà, le nostre emozioni frustrate spesso ci spingono proprio a cercare di forzare i comportamenti: nulla di più contro-producente. Bisogna solo imparare a dividere le due cose: le nostre frustrazioni, dai bisogni profondi dell’altro. Cosa è più opportuno tutelare?
REGOLA N° 1: CERCARE DI ABBASSARE LO STATO DI ALLERTA ELEVATO.
Ma cosa si può fare, una volta intuita una tale condizione?
Innanzitutto, come già accennato, garantire la prossimità con la figura di accudimento
Nel caso di Akù, poiché sono stata io la figura di riferimento al momento della separazione, mi sono offerta come vicinanza fisica, quindi restavo vicina a lui con il mio corpo, e lasciavo che lui si regolasse in base al suo bisogno.
Ora di sera, ha mostrato un fortissimo attaccamento a me, richiedendo continuamente la mia vicinanza: questo ci ha raccontato quanto bisogno di conforto e di sicurezza avesse. Questo comportamento è proseguito in maniera importante per quasi un paio di settimane.
Ci vuole molto rispetto e pazienza, nell’affrontare questa fase iniziale. Ma è davvero cruciale.
Colmare un vero bisogno, un bisogno profondo, è l’unica strada che permette di evolvere in modo positivo.
Durante questo periodo, possiamo metterci nell’ottica di ignorare il comportamento: non porvi eccessiva attenzione, non rimarcare, non forzare la mano.
Dobbiamo trasmettere una sensazione di rispetto di tempi e modalità, perché questo significa in un linguaggio più profondo: io ti accetto così come sei.
Eviterei quindi in questa fase le richieste dirette. Tendenzialmente infatti – in tal caso – verrebbero rifiutate (per il momento). Talvolta io uso questa strategia come verifica, proprio per vedere a che punto siamo. Più il bambino si oppone a una richiesta esterna, più comprendo che c’è ancora molto da lavorare su allerta e fiducia.
Possiamo tuttavia continuare ad offrirci in modo positivo, gentile, pacato… ma non invasivo, neanche a livello prossemico, quindi non esagerare con la vicinanza fisica.
In caso di errore di valutazione, in ogni caso, basterà rimanere vigili sul comportamento dell’altro: si avvicina o si allontana? Riflettiamo il suo comportamento: se si gira o si allontana, aumentiamo la distanza. Se si avvicina, mostriamoci lì.
E’ come un ballo di coppia, dove ci si può regolare e correggere ad ogni passo, restando in presenza e in ascolto attivo.
Un’altra cosa che possiamo fare, da parte di chi vuole conquistarsi la fiducia dell’altro, è offrire un aggancio emotivo: con un cagnolino, può essere un cibo fortemente accattivante; con un bambino, può essere un gioco fortemente interessante.
Ho imparato dalla mia esperienza, anche una tecnica molto pragmatica ma utile sia con i cuccioli di cane che con i cuccioli di uomo: mostrarsi utili rispetto ai bisogni molto concreti, perché questo significa in un linguaggio più profondo: io colgo ciò che ti occorre per stare bene.
D’altronde i bambini e gli animali sono quanto di più concreto esista.
Acqua per la sete, buon cibo per la fame, soluzioni pratiche, afferrare un oggetto troppo lontano, prendere in braccio per raggiungere qualcosa, svitare un tappo, consegnare qualcosa che serve in quel momento…
Spesso, un altro atteggiamento che crea fiducia è la nostra capacità di attendere in caso di non-azione o in mancanza di scambio reciproco, restando in relazione, perché questo significa in un linguaggio più profondo: sono lo stesso qui per te, e quando vorrai io ci sono.
Eventualmente – in caso di forte inibizione – posso iniziare in autonomia a fare qualcosa di interessante a media distanza. L’obiettivo è ottenere la partecipazione spontanea e infine la collaborazione.
Comunque vada, per quanto possa preoccuparci o frustrarci un comportamento inibito, mai sgridare, punire o umiliare, o peggio far sentire in colpa.
Lo stato di allerta, è davvero una condizione mentale, psichica ed emotiva, che impedisce tante altre funzioni.
Quindi, se senza giudizio, ci occupiamo soltanto di recuperare questa condizione, conquistandoci pazientemente la fiducia del cucciolo, allora a un certo punto, la relazione diventa fruttuosa e permette quello scambio, quell’apertura, che porta all’evoluzione comportamentale e cognitiva.
Quando si capisce che lo stato di allerta si è abbassato?
Il cucciolo diventa più attivo. Inizia a esplorare e addirittura diventa propositivo: proporrà lui stesso un’interazione di gioco, di lotta o di coccole.
Accetterà di buon grado il cibo, e diventerà sempre più autonomo nelle sue faccende.
Accetterà anche ciò che di altro arriva da quella nuova figura, in termini di proposte e richieste. I SI supereranno i NO.
Non avrà più bisogno di una prossimità costante dalla figura di riferimento.
In stanza di terapia, ad esempio, man mano che lo stato di allerta di abbassa, si osserva che il bambino non considera ormai più di tanto il genitore presente, senza più tornare continuamente da lui/lei. Infine sarà possibile allontanare la figura di accudimento fino al tempo completo della seduta.
Un cagnolino invece, inizierà a fare i pisolini nei “suoi posti” anziché sotto i piedi del suo nuovo riferimento, o a giocare attivamente mentre questo è impegnato in altre faccende.
La conquista del gioco, dunque, è veramente un fenomeno fortemente indicatore.
Un cucciolo o un bambino poco interessato al gioco in un certo contesto, oppure un bambino poco motivato all’apprendimento, ci stanno raccontando che c’è ancora quel problema di fondo: il bisogno di sicurezza non ancora colmato.
Di chi è quindi la responsabilità di trovare una strada per la serenità profonda dei cuccioli?
E cosa accade, se invece la figura accudente – che sia il genitore (di sangue o di adozione) o l’educatore/insegnante o la terapista – non se la prende questa responsabilità?
Per la mia esperienza, osservo che se così accade, il cucciolo manifesta il proprio disagio con comportamenti disfunzionali.
La realtà dimostra, che un bisogno non colmato, si paleserà sempre in qualche maniera particolare, più o meno bizzarra, più o meno difficile.
La buona notizia, è che non è mai troppo tardi per colmare un bisogno.
La domanda è: ce la prendiamo questa responsabilità?